DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXV SEMINARIO
INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI
Campidoglio, 21-22
aprile 2015
UMBERTO ROBERTO
Università Europea di Roma
TRANSLATIO STUDII:
LA VISIONE ECUMENICA DI GIULIO AFRICANO,
CITTADINO ROMANO
DI GERUSALEMME (221 D.C.)
SOMMARIO: 1. L’identità romana della colonia Aelia
Capitolina. – 2. Giulio
Africano: cittadino romano e cristiano. – 3. I fondamenti dell’ecumenismo: unità del genere umano
e origine della civiltà. – 4. Da Atene a Gerusalemme: contro il primato culturale
dei Greci.
Sesto Giulio Africano, cittadino romano nato a Aelia Capitolina
nella seconda metà del regno di Marco Aurelio (tra 170 e 180), fu uomo di
cultura di lingua greca, esponente della Seconda sofistica e seguace della fede
cristiana. Un personaggio eclettico, versato tanto nella sapienza del suo
tempo, quanto in quella dei cristiani. Questa sua padronanza di molteplici
culture sollecitò Africano a realizzare una sintesi armonica, secondo
l’atmosfera e le inclinazioni dell’età dei Severi. Negli anni del principato di
Caracalla ed Eliogabalo, Africano compose la prima cronaca universale cristiana,
Chronographiae in cinque libri,
terminata e pubblicata nel 221 d.C., terzo anno dell’imperatore Eliogabalo.
Poco sappiamo della formazione e dell’educazione di Africano, ma in un passo di
un’altra opera scritta alla corte di Severo Alessandro, i Cesti, il nostro autore rivendica la sua appartenenza alla colonia Aelia (Iul. Africanus, Cesti fr. 10.50-51 dal P.Oxy 412; opera
composta intorno al 230). Sappiamo, poi, che viaggiò molto, trattenendosi a
studiare alla corte di Edessa (Iul. Africanus, Chron. T88) e ad Alessandria (Iul. Africanus, Chron. fr. 98). Insieme a questa tensione ‘cosmopolita’ del
personaggio, un tratto distintivo della sua opera come intellettuale e come
servitore della dinastia severiana fu l’orgoglio di appartenere a Roma e di essere
cittadino romano[1].
Non
v’è dubbio che a sviluppare questi sentimenti di orgogliosa appartenenza
all’impero romano contribuì la sua origine da Aelia Capitolina. Nei territori del Vicino Oriente romano, Aelia è una città speciale. Una città
che rappresenta il simbolo più evidente della volontà romana di annichilire lo
spirito di ribellione di un popolo ostinato nella sua resistenza a Roma. Per
gli Ebrei, Gerusalemme, città santa, era il centro dell’identità religiosa e
politica. Nella prima grande rivolta del 66-70 l’espugnazione della città e la
distruzione del tempio avevano sancito la fine della guerra e la vittoria dei
Romani sui ribelli. Con una misura di pragmatismo militare e di forte valore
simbolico, la decima legione Fretensis fu
insediata nella città per scoraggiare ogni nuova velleità di opposizione. Poi,
nel 130, l’imperatore Adriano decise che l’orgoglio ebraico venisse umiliato
senza riguardo. Secondo la testimonianza di fonti autorevoli come Cassio Dione
(59.12.1-2), Gerusalemme fu distrutta, negli spazi e nella memoria stessa dei
contemporanei e dei posteri. Una damnatio
senza appello per la città simbolo di un popolo odiato. Al suo posto sorse
una città romana, profondamente legata – già nel nome – alla più antica
tradizione e alla celebrazione del potere imperiale: Aelia Capitolina; una colonia romana che doveva mostrare a tutti la
potenza dell’impero. Non è un caso che perfino la composizione della
popolazione di Aelia fosse uno
specchio della complessità del mondo romano. Le fonti, confermate dai
ritrovamenti archeologici, indicano che Aelia
Capitolina era una base militare, sede della legione Fretensis, dove soldati e veterani congedati convivevano con i
nuovi abitanti. Per ordine imperiale, infatti, gli Ebrei vennero scacciati; fu
loro perfino interdetto di entrare in città. Al loro posto, convivevano con i
soldati romani nuovi abitanti trapiantati nella colonia. Le fonti parlano di
gruppi di Hellenes, dunque genti di cultura
greco-ellenistica, abituati alla vita della polis
(Io. Zonaras 11.23; Io. Malalas 11.17; Chronicon
Paschale, 474). La nuova composizione etnica di Aelia Capitolina doveva rispecchiare l’armonica simbiosi tra
cultura romana e cultura ellenistica che è caratteristica della stagione degli
Antonini. Anche nello spazio e nelle istituzioni Aelia era una città romana: al posto del tempio ebraico vennero
costruiti templi pagani – per Giove, per la triade capitolina, e per altre
divinità – un foro, un teatro; e la comunità si organizzò secondo le
istituzioni tipiche delle colonie romane. La storia della sua fondazione, la
presenza di forze legionarie al suo interno, la stessa composizione della sua
popolazione fecero ben presto di Aelia
Capitolina uno dei centri dell’identità romana nelle province d’Oriente[2].
Questa atmosfera e questo contesto culturale spiegano
l’atteggiamento legittimista che segna – dal poco che noi sappiamo –
l’esistenza e l’attività di Giulio Africano; e consentono pure di interpretare
meglio il suo cristianesimo. È difficile dare una definizione univoca dei
cristiani nell’età dei Severi. Esistono diverse forme di cristianesimo tra
Oriente e Occidente. Il cittadino romano Giulio Africano appartiene a quei
cristiani che cercano una conciliazione con l’impero romano. L’impianto stesso
delle Chronographiae conferma questa
visione. Africano costruisce la prima storia universale cristiana esaltando il
sincronismo fondamentale tra l’Epifania del Cristo e la conquista dell’egemonia
mondiale da parte di Roma sotto Augusto[3].
In un passo volto a dimostrare che l’unica tradizione
storiografica capace di eguagliare per rigore e attendibilità la storiografia
greco-ellenistica è quella ebraica, Africano mette a confronto il computo
cronologico dei diversi popoli non greci; dopo aver segnalato le esagerazioni
di Egiziani, Fenici e Caldei, afferma (Iul. Africanus, Chron. fr. 15.9-14 Wallraff-Roberto):
ἐκ
τούτων γὰρ Ἰουδαῖοι
τὸ ἀνέκαθεν
γεγονότες ἀπὸ Ἀβραὰμ
ἀρξάμενοι ἀτυφότερόν
τε καὶ ἀνθρωπίνως
μετὰ τοῦ ἀληθοῦς
διὰ τοῦ
Μωυσέως
πνεύματος
διδαχθέντες, ἔκ
τε τῶν λοιπῶν Ἑβραϊκῶν
ἱστοριῶν, ἀριθμὸν
ἐτῶν
πεντακισχιλίων
πεντακοσίων εἰς
τὴν ἐπιφάνειαν
τοῦ Σωτηρίου
Λόγου τὴν ἐπὶ τῆς
μοναρχίας τῶν
Καισάρων
κηρυσσομένην
παραδεδώκασιν.
«Gli
Ebrei, che traggono origine dai Caldei attraverso Abramo, istruiti senza
superbia, secondo l’umana misura e con verità dallo spirito di Mosè, e dalle
altre storie ebraiche, hanno tramandato un numero di 5500 anni fino alla
Epifania del Logos salvatore,
annunciata sotto la monarchia dei Cesari».
L’importanza del brano è chiara. In primo luogo, come altrove
nell’opera, Africano rivendica per la tradizione ebraica – cioè per le Sacre
Scritture – il rango di ἱστορία.
L’affermazione è fondamentale per comprendere l’utilità della Bibbia nel
risolvere, ad esempio, le aporie della ricostruzione delle origini da parte dei
Greci. Ancora Censorino, in anni vicini a Giulio Africano, riprende un passo di
Varrone nel suo De die Natali (21.1-2;
l’opera è del 238), lamentando l’esistenza di un adelos chronos alle origini della storia, non ricostruibile secondo
le conoscenze della tradizione greca e romana[4].
Dal punto di vista del giudizio storico, attraverso questo e
altri passi delle sue Chronographiae,
Giulio Africano concilia il compimento delle profezie del Vecchio Testamento,
in particolare la profezia di Daniele, con quanto affermato nel Nuovo
Testamento; ad esempio, con Luca 2.1,
dove evidente è il sincronismo tra Augusto e Cristo. Questa conciliazione trova
espressione anche in Paolo, Epistola ai
Romani 13, senza dubbio con particolare attenzione al punto di vista
politico e culturale; e poi nelle riflessioni di Melitone di Sardi che, nel
passo conservato da Eusebio di Cesarea (Hist.
Eccl. 4.26.7-8), rappresenta una delle più significative testimonianze
della cosiddetta Augustustheologie,
la formulazione in chiave provvidenziale cristiana dell’ascesa al potere di
Augusto:
Ἡ
γὰρ καθ᾽ ἡμᾶς
φιλοσοφία
πρότερον μὲν ἐν
βαρβάροις ἤκμασεν,
ἐπανθήσασα δὲ
τοῖς σοῖς ἔθνεσιν
κατὰ τὴν Αὐγούστου
τοῦ σοῦ
προγόνου
μεγάλην ἀρχήν, ἐγενήθη
μάλιστα τῇ σῇ
βασιλείᾳ αἴσιον
ἀγαθόν. ἔκτοτε
γὰρ εἰς μέγα καὶ
λαμπρὸν τὸ Ῥωμαίων
ηὐξήθη κράτος·
οὗ σὺ διάδοχος
εὐκταῖος
γέγονάς τε καὶ ἔσῃ
μετὰ τοῦ
παιδός,
φυλάσσων τῆς
βασιλείας τὴν
σύντροφον καὶ
συναρξαμένην Αὐγούστῳ
φιλοσοφίαν, ἣν
καὶ οἱ
πρόγονοί σου
πρὸς ταῖς ἄλλαις
θρῃσκείαις ἐτίμησαν,
καὶ τοῦτο
μέγιστον
τεκμήριον τοῦ
πρὸς ἀγαθοῦ τὸν
καθ᾽ἡμᾶς
λόγον
συνακμάσαι τῇ
καλῶς ἀρξαμένῃ
βασιλείᾳ, ἐκ τοῦ
μηδὲν φαῦλον ἀπὸ
τῆς Αὐγούστου ἀρχῆς
ἀπαντῆσαι, ἀλλὰ
τοὐναντίον ἅπαντα
λαμπρὰ καὶ ἔνδοξα
κατὰ τὰς
πάντων εὐχάς ...
«La
nostra filosofia si affermò dapprima fra i barbari; e fiorendo nelle tue nazioni
durante il grande regno di Augusto, tuo avo, è divenuta bene propizio
soprattutto per il tuo regno. Da quel momento, infatti il potere dei Romani è
divenuto sempre più grande e illustre; di questo tu sei stato e sarai, insieme
con tuo figlio, invocato successore, tutelando la dottrina che ha nutrito
l’impero, che ebbe origine sotto Augusto e che anche i tuoi avi venerarono
accanto alle altre religioni. (8) Questa è una grandissima prova del fatto che
la nostra dottrina fiorì con l’impero ben governato, ed ha avuto un felice
inizio con Augusto, che non ordì nessun complotto contro di essa, ma al
contrario le concesse un completo periodo di splendore e di fama, come
richiedevano le preghiere di tutti»[5].
Africano è sulla linea di Melitone. Nella sua visione, fondata
sui sincronismi, la coincidenza tra Epifania del Cristo e Monarchia dei Cesari è un sincronismo epocale che consente di
spiegare il passaggio dell’egemonia mondiale ai Romani – translatio imperii – secondo un piano provvidenziale divino. Ad
Augusto era destinato il compito di pacificare il mondo, sottomettendolo
completamente, per consentire l’epifania del Cristo e la successiva diffusione
del suo vangelo. In questo modo, secondo la sua prospettiva di abitante di Aelia Capitolina, Africano è in grado di
conciliare universalismo cristiano e universalismo romano, tanto più attuale e
sviluppato nell’età dei Severi[6].
Tra
i molti altri segnali di piena sintonia con lo spirito del suo tempo, le Chronographiae di Africano affrontano
anche il tema della diffusione del sapere e della civiltà da Oriente verso
Occidente. È una sorta di translatio
studii – appunto diffusione del sapere – che si sovrappone all’idea della translatio imperii – successione delle
egemonie mondiali – ma fonda la sua spiegazione, ancora una volta, nella
visione religiosa di Africano. Un presupposto fondamentale della riflessione
storica e culturale di Africano, che si appoggia su una sintesi della sapienza
biblica e della tradizione ellenistico-romana, è l’unità del genere umano. In
particolare, rileggendo i libri delle Sacre Scritture, Africano ritiene che
attraverso Adamo, e poi, attraverso i discendenti di Noè, tutti gli uomini
abbiano un’origine comune. Rispetto a questa visione, che deriva dalla sua fede
religiosa, il cristiano Africano condivide pure l’idea di una diffusione della
sapienza e della civiltà che parte dall’Oriente e, attraverso la mediazione
dell’Egitto, si sposta in Occidente. Si tratta, nel complesso, di una
rappresentazione della translatio studii che
esalta il ruolo degli Orientali nella storia culturale dell’umanità. E, d’altra
parte, l’influenza crescente degli abitanti delle province orientali
dell’impero è un aspetto molto significativo per ricostruire la temperie della
società tardo-severiana. Nell’epoca di Eliogabalo e Severo Alessandro, infatti,
aumenta il numero di Orientali che assumono cariche di rilievo
nell’amministrazione e nel governo. Africano, che visse alcuni anni alla corte
di Severo Alessandro, è tra questi: ricoprì infatti una carica al servizio
dell’imperatore. D’altra parte, è bene ricordare che gli stessi principi della
seconda fase della dinastia severiana venivano dalla Siria[7].
È
interessante notare che questa visione comporta necessariamente una
svalutazione del primato della cultura greca nel mondo antico; in particolare,
del primato di Atene. In un passo molto significativo relativo all’esodo,
Africano spiega secondo questa visione il sincronismo tra il diluvio di Ogigo
in Attica e le piaghe in Egitto. Quando, infatti, all’epoca di Mosè e prima
dell’Esodo l’Egitto fu colpito dalla punizione divina, anche gli Ateniesi
subirono il cataclisma. Afferma Africano (Iul. Africanus, Chron. fr. 34.95-102):
Οὐκοῦν
τῶν ,α καὶ κ´ ἐτῶν
τῶν μέχρι
πρώτης Ὀλυμπιάδος
ἀπὸ Μωυσέως τε
καὶ ᾽Ωγύγου ἐκκειμένων,
πρώτῳ μὲν ἔτει
τὸ Πάσχα καὶ τῶν
Ἑβραίων ἔξοδος
ἡ ἀπ᾽ Αἰγύπτου.
ἐν δὲ τῇ Ἀττικῇ
ὁ ἐπὶ Ὠγύγου
γίνεται
κατακλυσμός,
καὶ κατὰ λόγον.
Τῶν γὰρ Αἰγυπτίων
ὀργῇ θεοῦ
χαλάζαις τε καὶ
χειμῶσι
μαστιζομένων εἰκὸς
ἦν μέρη τινὰ
συμπάσχειν τῆς
γῆς˙ ἔτι τε Ἀθηναίους
τῶν αὐτῶν Αἰγυπτίοις
ἀπολαύειν εἰκὸς
ἦν ἀποίκους ἐκείνων
ὑπονοουμένους,
ὥς φασιν ἄλλοι
τε καὶ ἐν τῷ Τρικαράνῳ
Θεόπομπος.
«Perciò nel primo anno dei 1020 che si
trovano tra Mosè ed Ogigo e la prima Olimpiade, avvennero la Pasqua e l’esodo
degli Ebrei dall’Egitto, e in Attica si verificò il diluvio di Ogigo. E questo
avvenne secondo logica, dal momento che infatti, allorché gli Egizi erano
colpiti dall’ira del Signore con grandine e tempeste, era pure naturale che
talune altre parti della terra soffrissero una simile sorte. Ed ancora, era
naturale che gli Ateniesi avessero parte della stessa sorte toccata agli Egizi,
dal momento che essi sono considerati loro coloni, come racconta, insieme ad
altri, anche Teopompo nel Trikaranos».
Evidentemente Africano interviene sul dibattito che per secoli –
con una significativa testimonianza già nel Timeo
di Platone (c. 21) – attraversa la cultura greco-ellenistica; e si schiera
dalla parte di coloro che consideravano Atene una colonia egiziana della città
di Sais, ribaltando in questo modo la concezione di superiorità culturale dei
Greci sul resto del mondo. Questa polemica con l’Attidografia, che torna anche
in altri passi delle Chronographiae,
si estende, in realtà, alla considerazione della capacità dei Greci di risalire
indietro alle origini della loro storia[8].
Per Africano, e per gli intellettuali della sua epoca, maggiore
antichità significava superiorità culturale. Non è questo il caso dei Greci.
Proprio nello studio del sincronismo come strumento per comprendere le
coincidenze tra diverse tradizioni storiche, Africano afferma che i Greci non
sono in grado di ricostruire il loro passato in concordia e con attendibilità
per gli eventi anteriori al primo anno della prima Olimpiade (Iul. Africanus, Chron. fr. 34.1-11):
Μέχρι μὲν
τῶν Ὀλυμπιάδων
οὐδὲν ἀκριβὲς ἱστόρηται
τοῖς Ἕλλησι,
πάντων
συγκεχυμένων
καὶ κατὰ μηδὲν
αὑτοῖς τῶν πρὸ
τοῦ
συμφωνούντων·
αἱ δὲ ἠκρίβωνται
πολλοῖς, τῷ μὴ ἐκ
πλείστου
διαστήματος,
διὰ
τετραετίας δὲ
τὰς ἀναγραφὰς
αὐτῶν ποιεῖσθαι
τοὺς Ἕλληνας. οὗ
δὴ χάριν τὰς ἐνδοξοτάτας
καὶ μυθώδεις ἐπιλεξάμενος
ἱστορίας
μέχρι τῆς
πρώτης Ὀλυμπιάδος
ἐπιδραμοῦμαι·
τὰς δὲ μετὰ ταῦτα
συζεύξας κατὰ
χρόνον ἑκάστας,
εἴ τινες ἐπίσημοι,
ταῖς Ἑλληνικαῖς
τὰς Ἑβραϊκάς, ἐξιστορῶν
μὲν τὰ Ἑβραίων, ἐφαπτόμενος
δὲ τῶν Ἑλληνικῶν,
ἐφαρμόσω
τόνδε τὸν
τρόπον·
λαβόμενος μιᾶς
πράξεως Ἑβραϊκῆς
ὁμοχρόνου
πράξει ὑφ᾽ Ἑλλήνων
ἱστορηθείσῃ
καὶ ταύτης ἐχόμενος
ἀφαιρῶν τε καὶ
προστιθεὶς
τίς τε Ἕλλην ἢ
Πέρσης ἢ καὶ ὁστισοῦν
τῇ Ἑβραίων
συνεχρόνισεν ἐπισημειούμενος,
ἴσως ἂν τοῦ
σκοποῦ
τύχοιμι.
«Fino
dunque alle Olimpiadi nulla è stato descritto dai Greci con accuratezza nelle
loro narrazioni di storia, dal momento che ogni racconto appare confuso, e non
v’è alcuna armonia tra loro prima di esse. Le Olimpiadi invece sono state
riportate accuratamente da molti, dal momento che i Greci registrano queste non
a grande distanza di tempo, ma ogni quattro anni. Ecco perché, selezionando le
più celebri, tratterò pure le storie mitiche dei Greci fino alla prima
Olimpiade. Per quanto riguarda le narrazioni posteriori alla prima Olimpiade,
combinando insieme ciascuna secondo l’ordine cronologico (almeno nel caso delle
più celebri), le vicende degli Ebrei con quelle dei Greci, esporrò nella mia
narrazione storica le vicende degli Ebrei facendo degli accenni a quelle dei
Greci, e cercherò di unirle in armonia nel modo seguente. Nel prendere in
considerazione una singola vicenda della storia ebraica sincronica a una
vicenda narrata dai Greci, attenendomi a tale vicenda, toglierò e aggiungerò; e
ancora, segnalerò chi, vuoi Greco o Persiano o di qualsivoglia altra stirpe,
sia vissuto in sincronia con la vicenda degli Ebrei, e probabilmente
raggiungerò il mio scopo».
Come nel brano che contiene il sincronismo epocale tra Epifania
del Cristo e ascesa di Augusto al potere, così in questo passo sul sincronismo
come strumento di analisi storica comparata, necessario a una costruzione di
respiro universale, emerge un dato fondamentale. La storiografia degli Ebrei –
la Bibbia è considerata hebraikai
istoriai – è l’unica che possiede gli stessi caratteri della storiografia
dei Greci; e tuttavia, è superiore alla storiografia dei Greci perché capace di
risalire, attraverso il computo cronologico, fino alle origini dell’umanità;
ossia, in una visione ebraica e cristiana, la creazione di Adamo. In questo
modo, Africano afferma la superiorità della cultura ebraica su quella greca, perché
più antica; e perché capace di conservare memoria storica della sua antichità.
E il cerchio, nella prospettiva di questo cittadino romano di Aelia Capitolina, si chiude nel segno
dell’esaltazione della cultura ebraica, e delle altre culture d’Oriente, nel
più generale contesto della dimensione multiculturale ed ecumenica dell’impero
romano. Africano recupera in questo modo la dimensione dell’antica Gerusalemme,
superiore ad Atene e capace, attraverso l’interpretazione della rivelazione
cristiana, di spiegare la missione di Roma nella storia[9].
[Un evento culturale, in quanto ampiamente
pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente
anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di
questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal
Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma
alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR
e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con
la collaborazione della ‘Sapienza’
Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI
A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]
[1] Per i frammenti
delle Chronographiae di Africano cfr.
M. Wallraff-U. Roberto-K. Pinggéra, Iulius
Africanus, Chronographiae, with translation by W. Adler, Berlin-New York 2007; per i frammenti dell’altra
sua opera cfr. M. Wallraff-C. Scardino-L.
Mecella-Chr. Guignard, Iulius
Africanus. Cesti. The extant Fragments, transl. by W. Adler, Berlin-Boston 2012. Più in
generale su Africano cfr. W. Adler,
Sextus Iulius Africanus and the Roman
Near East in the Third Century, in The
Journal of Theological Studies 55, 2004, 520-550; U. Roberto, Le Chronographiae di Sesto Giulio Africano. Storiografia,
politica e cristianesimo nell’età dei Severi, Soveria Mannelli 2011.
[2] Cfr. B. Isaac, Roman
Colonies in Judaea: the Foundation of Aelia Capitolina (1980-1981), in Id., The
Near East under Roman Rule: Selected Papers, Leiden 1998, 87-111; L. Di Segni, Epiphanius and the Date of Foundation of Aelia Capitolina, in Liber Annuus 64, 2014, 441-451.
[3] U. Roberto, Le Chronographiae, cit.,
120-123. Sul cristianesimo di Africano e il suo atteggiamento verso la cultura
pagana cfr. W. Adler, The Cesti and Sophistic culture in the
Severan Age, in Die Kestoi des Julius
Africanus und ihre Überlieferung, hrsg. v. M.
Wallraff-L. Mecella, Berlin 2009, 1-15. Con particolare riferimento alla
mancanza nei Cesti ad ogni
riferimento alla sapienza ebraica o cristiana cfr. C. Scardino, Iulius
Africanus ein Uomo universale des 3.
JH. n. Chr. Die Kestoi und Ihre
Rezeption, in Rivista di filologia e
di istruzione classica 143, 2015, 93-122. In età tardoantica, dopo l’epoca
teodosiana, il sincronismo culmina nell’iperbolica affermazione di Cristo nato
come cittadino romano in Orosius 6.22.5-8; cfr. P.
van Nuffelen, Orosius and the
Rhetoric of History, Oxford 2012, 194-197. Il ruolo di Augusto, come
imperatore scelto dalla provvidenza divina per consentire la diffusione del
cristianesimo porta a una idealizzazione del principe che culmina in età
tardoantica; cfr. I. Opelt, Augustustheologie und Augustustypologie,
in Jahrbuch für Antike und Christentum
4, 1961, 44-57; F. Conca, Augusto nella storiografia bizantina, in
Paideia 67, 2012, 91-105; L. Mecella, ἦν γὰρ μυστικὸς ἀρχιερεὺς καὶ βασιλεύς: Giovanni Malala e
il ruolo del principato augusteo nella storia universale, in Paideia 68, 2012, 349-374.
[4] Il passo di
Varrone conservato da Censorino proviene dall’opera De gente populi Romani composto intorno al 43 d.C. Sulla questione: U. Roberto, Le Chronographiae, cit., 67-106. Sul tema dell’adelos chronos cfr. W. Adler,
Time immemorial. Archaic History and its sources in Christian Chronography from Iulius
Africanus to George Syncellus, Washington D.C. 1989. Sulla riflessione di
storia universale cristiana prima di Africano cfr. M. Wallraff, The
Beginnings of Christian Universal History from Tatian to Julius Africanus,
in Zeitschrift für antikes Christentum
14, 2010, 540-555. La tradizione cronografica tardo-ellenistica non riuscì a
risolvere la questione delle origini: cfr. al riguardo L. Mecella, La Χρονικὴ
Ἱστορία di
Dexippo e la fine della cronografia pagana, in L.
Mecella-U. Roberto (a cura di), Dalla
Storiografia ellenistica alla storiografia tardoantica. Aspetti, problemi,
prospettive, Soveria Mannelli 2010, 147-178.
[5] Per il testo cfr.
Eusèbe de Césarée, Histoire
ecclésiastique, Livres I-IV, texte grec, traduction et annotation par G. Bardy, Paris 1952. Sul rapporto tra
cristiani e impero romano: E. Petersen,
Der Monotheismus als politisches Problem.
Ein Beitrag zur
Geschichte der politischen Theologie im Imperium Romanum,
Leipzig 1935; R. Klein, Das Bild des Augustus in der
frühchristlichen Literatur, in Rom
und das himmlische Jerusalem. Die frühen Christen
zwischen Anpassung und Ablehnung, hrsg. von R.
von Haehling, Darmstadt 2000, 205-236; M.
Rizzi, L’atteggiamento dei
cristiani di fronte all’impero romano prima di Costantino, in Costantino il Grande alle radici dell’Europa,
Roma 2014, 65-77.
[6] Sul documento più
suggestivo dell’universalismo di età severiana cfr. G. Zecchini, La Constitutio
Antoniniana e l’universalismo politico di
Roma, in L’ecumenismo politico nella
coscienza dell’Occidente, Atti del
Convegno di Studi, Bergamo, 18-21 settembre 1995, a cura di L. Aigner
Foresti, A. Barzanò, C. Bearzot, L. Prandi, G. Zecchini, Roma 1998, 349-358; e,
più recentemente, A. Imrie, The Antonine Constitution. An Edict for the
Caracallan Empire, Leiden-Boston 2018.
[7] Sul tema, con
particolare attenzione al ruolo dell’Egitto, cfr. recentemente U. Roberto, Translatio studii et imperii. Diodoro,
Africano e Giovanni Malala sul ruolo dell’Egitto nella storia universale,
in De imperiis. L’idea di impero
universale e la successione degli imperi nell’antichità, a cura di L.R. Cresci, F. Gazzano, Roma 2018,
217-261. Per il ruolo degli Orientali nella società di età severiana cfr. M. Mazza, Un uomo forte al potere: il regno di Settimio Severo, in Storia della società italiana, Milano
1996, vol. 3, 211-260, partic. 247-248. In generale per il dibattito culturale
sul ruolo dell’Oriente nell’età severiana cfr., in generale, i saggi in S. Swain, St. Harrison, J. Elsner
(eds.), Severan culture, Cambridge
2007; per l’attività di Flavio Filostrato cfr. in generale E. Bradshaw Aitken, J.K. Berenson Maclean
(ed. by), Philostratus’ Heroikos. Religion and Cultural Identity in the Third Century C.E., Leiden 2004.
[8] Cfr. sul tema: U. Roberto, Atene colonia egiziana. Considerazioni sopra una tradizione
storiografica tra ellenismo e tarda antichità, in L. Mecella-U. Roberto (a cura di), Dalla Storiografia ellenistica alla storiografia tardoantica. Aspetti,
problemi, prospettive, Soveria Mannelli 2010, 117-146.
[9] Anche in questa
rivalutazione delle culture dell’Oriente rispetto alla cultura dominante
greco-romana, Africano si mostra in piena sintonia con un carattere
determinante del cristianesimo di terzo secolo: soprattutto nelle province
orientali, ma anche in Egitto, il cristianesimo diviene strumento per la
“rinascita” delle culture locali che, attraverso la traduzione e lo studio
delle Sacre Scritture, assumono perfino dignità letteraria. È il fenomeno che
S. Mazzarino ha definito “democratizzazione della cultura antica”; Africano, a
livello della storia universale cristiana, è un importante interprete del
fenomeno. Cfr. S. Mazzarino, La democratizzazione della cultura nel
‘basso impero’, in Rapports du XIe
Congrès International des Sciences Historiques, Stockholm 1960 = Id., Antico,
tardoantico ed èra costantiniana, I, Bari 1974, 74-98; e M. Mazza, Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d.C., 2a
ed., Roma-Bari 1973, 465-500. Più recentemente Cfr. i saggi in J.M. Carrié (éd.), La ‘démocratisation de la culture’ dans l’Antiquité tardive. Atti del Convegno (Vercelli 14-15 giugno 2000), in Antiquité Tardive 9, 2001.